Era il 4 ottobre 1983 quando su Italia 1 andava in onda la prima puntata di Drive In, il programma di Antonio Ricci che ha cambiato per sempre la televisione italiana. Il varietà, programmato fino al 17 aprile 1988, compie 40 anni e oggi è rivalutato persino a sinistra, la sponda che l’ha sempre criticato e bistrattato perché simbolo dell’americanizzazione della società e del futuro berlusconismo.
Drive In, 40 anni e non sentirli
Erano gli anni della Milano da bere e del disimpegno sfrenato, degli yuppies e dell’impennata del consumismo. Ricci si inventò una trasmissione trasgressiva eppure seguitissima dalle famiglie, con gag alla velocità della luce, monologhi, imitazioni, i mille personaggi di Ezio Greggio e Gianfranco D’Angelo, soubrette svestite come le ragazze Fast Food (tra le quali spiccava Tinì Cansino), la cassiera Carmen Russo e la bigliettaia Lory Del Santo.
Il cast di Drive In era pieno di autentici talenti del cabaret e della risata. Da Giorgio Faletti nei panni della guardia Vito Catozzo, di Carlino e di Suor Daliso al paninaro Enzo Braschi, passando per il bocconiano Sergio Vastano, il metallaro Francesco Salvi, il tragicomico Carlo Pistarino, le parodie dei Trettré, le indagini di Zuzzurro e Gaspare, le disavventure di Enrico Beruschi, i siparietti di Massimo Boldi e Teo Teocoli. I loro tormentoni entrarono subito nel linguaggio dell’Italia degli anni Ottanta.
Amato e odiato per anni, in particolare per l’immagine che offriva delle donne, Drive In è protagonista di una riscoperta in occasione del suo compleanno. Uno sdoganamento tardivo se si considera che un raffinato intellettuale come Oreste del Buono, uno dei più noti giornalisti e scrittori italiani del suo tempo, definì Drive In “la trasmissione di satira più libera che si sia vista e sentita”.
Silvia Fumarola firma su Repubblica (che per anni ha trattato Drive In come il nemico pubblico numero uno) un articolo in cui assolve lo show “come succede per i film dei Vanzina”. “Siamo stati additati come l’origine di ogni male, accusati di volgarità. Ma per noi vale la regola della doppia lettura: non c’era sketch che non nascondesse un sottinteso, una denuncia o una battuta al vetriolo”, ricorda Ezio Greggio.
“Non c’era la malizia, credo che le copertine dei settimanali dell’epoca, penso a Panorama o all’Espresso, fossero molto più sexy, noi eravamo solo la parodia. I balletti erano ironici e le donne facevano le battute. Credo che Drive In sia stato lo specchio ironico e critico, divertito, di quegli anni”, aggiunge il comico piemontese.
Greggio ricorda quando lui, Ricci e il regista Giancarlo Nicotra andarono nell’ufficio di Silvio Berlusconi in via Rovani a fargli vedere la prima puntata che avevano preparato: “Silvio era seduto davanti a noi, ogni tanto si voltava. ‘Non è esattamente quello che vi ho chiesto’, ci disse, ‘ma intuisco che potrebbe piacere’. Ci ha fatto andare in onda, fu un successo pazzesco”.
Drive In, programmato sdoganato a sinistra
Lo sdoganamento di Repubblica scatena Luca Beatrice. Dalla pagine di Libero, il critico e intellettuale “di destra” esalta Drive In come “un manifesto del postmoderno applicato all’intrattenimento”: “Ci sono voluti quarant’anni ma alla fine abbiamo avuto ragione proprio noi che da ragazzi ci siamo entusiasmati per lo show televisivo più strampalato, esilarante, adrenalinco, comico e sexy nella storia della televisione italiana”.
L’analisi di Beatrice è socio-politica: Drive In “si inserisce appieno nel processo di laicizzazione del nostro Paese, da poco campione del mondo nel calcio, dove stava accadendo qualcosa di imprevedibile, i presidenti del Consiglio non più democristiani, prima Spadolini repubblicano, poi Craxi socialista, la fine del duopolio politico Dc Pci, la fine del monopolio Rai in tv, messo in crisi dall’irrompere di Mediaset e in parte anche da Mtv, il canale dei giovani, la musica per gli occhi”.
In tal senso, Drive In fu la trasmissione che “portò l’innovazione totale allo spento varietà”. Ma “per decenni la critica ha identificato questo programma come lo specchio della tv berlusconiana, indicandola da colpevole per aver imposto un mondo non suo, troppo disinvolto e ‘demenziale’, che non faceva bene perché non abbastanza serioso e punitivo”.
La verità secondo il critico è un’altra: “L’innovazione, l’avanguardia più sperimentale, già da tempo non apparteneva né alla sinistra ufficiale, quella che Giorgio Gaber aveva definito dei ‘grigi compagni del Pci’, e neppure alla vecchia Dc consociativa con gli amici-nemici comunisti. L’avanguardia, come tale, è anarchica, scomoda, controcorrente, ridanciana, eccessiva, poco vestita. Tendenzialmente roba nostra, non so quanto di destra ma certamente non di sinistra”. Per ripercorrere la genesi di Drive In e gli equivoci di cui è stato vittima, è disponibile lo speciale Drive In: l’origine del male sul sito di Striscia la notizia.