Cristiana Capotondi è determinata e tenace come la sua Eva, l’ispettrice protagonista di Bella da morire, la fiction di Rai 1 che ha esordito domenica 15 marzo 2020. In un momento difficile come quello che l’Italia sta attraversando, l’attrice si mobilita in prima persona. Stavolta racconta un personaggio insolito, una poliziotta brava ma dal carattere difficile, con una dipendenza da cibi spazzatura e un intuito fuori dal comune. La forza e la fragilità di Eva sono i motivi che hanno convinto Cristiana ad accettare questa parte.
Cristiana Capotondi: Bella da morire per lottare insieme
Bella da morire, serie crime in quattro serate che vede alla regia Andrea Molaioli, ha debuttato con ottimi dati d’ascolto: 5,6 milioni di telespettatori con il 20,4% di share. Merito di un intreccio avvincente e tremendamente attuale, che all’indagine sulla misteriosa sparizione di una ragazza in un paesino apparentemente tranquillo alterna un’analisi profonda di relazioni familiari e sentimentali.
“Eva – racconta la Capotondi in una intervista a Donna moderna – è una donna aggressiva: ha sempre lavorato in un ambiente molto maschile, si è creata una scorza dura per difendersi. Ma poi svela la sua debolezza, si scopre fallibile, si mette in discussione”.
Il thriller di Rai 1 vuole far riflettere il pubblico su un tema come il femminicidio, ma soprattutto vuole infondere speranza. “Io credo nella femminilità come valore – spiega l’attrice –, che non deve conformarsi al modello maschile. Con gli uomini non dobbiamo scontrarci, ma collaborare mantenendo, ciascuno, le proprie differenze”.
Bella da morire, Cristiana Capotondi: “Ritroviamo interazioni umane perdute”
D’altronde Cristiana è attiva su tantissimi fronti. Dal 2018 è la vice-presidente della Lega Pro, la Serie C del campionato di calcio. Ha fondato Fuoricinema Fuoriserie, festival milanese che promuove la relazione tra il pubblico e i suoi protagonisti. In questi giorni è portavoce e donatrice della raccolta fondi, lanciata da Chiara Ferragni e Fedez, per aiutare l’ospedale San Raffaele di Milano.
“I gesti che migliorano la società – conclude – a volte portano via pochi secondi. E ‘consumare’ meglio è doveroso. Da trasteverina, ricordo quand’ero piccola e sotto casa c’erano ancora le botteghe. I miei andavano dal vinaio a farsi riempire le bottiglie vuote, io mettevo il dito sotto la botte di vino per rubarne una goccia di nascosto. Erano gli anni ’90 e sembra un’epoca lontana, fatta di interazioni umane oggi perdute”.