Cinema e teatri, la riapertura con obbligo di tampone per il pubblico: “Ipotesi delirante e ridicola”

Da Moni Ovadia a Gabriele Lavia, sono in tanti a criticare l'ipotesi del governo Draghi

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Una coppia al cinema
Una coppia al cinema

La riapertura di cinema e teatri appare sempre più vicina. Le sale sono pronte a ripartire dopo il 20 aprile. Oltre alle consuete misure di sicurezza, il governo Draghi starebbe pensando ad una ulteriore restrizione per il pubblico: l’obbligo di fare un tampone non più di 48 ore prima dell’evento. L’indiscrezione, però, non piace agli operatori del settore, già martoriati da una chiusura continuata che dura ormai da un anno.

Cinema, riapertura dal 20 aprile con tampone?

Moni Ovadia all’Adnkronos definisce quest’ipotesi “delirante”. “Se uno porta la mascherina, c’è il distanziamento, si entra scaglionati e ordinatamente e si esce con una voce guida – dice Ovadia – non c’è alcun pericolo. Si può fare quello che si vuole se c’è la volontà”.

L’attore e regista, già critico sulle scelte di governo e Cts quando all’Ariston si è tenuto il Festival di Sanremo, si domanda “perché nessuno si pone il problema della folla nei supermercati o nei bar, dove si ammassano tutti senza mascherina?”. “Fare un tampone prima di entrare al teatro mi sembra un’idea ridicola – aggiunge Ovadia –. È l’Italietta di sempre dove la cultura è considerata una cosa irrilevante tranne quando dobbiamo pagare le tasse”.

“La cultura dovrebbe essere il bene primario di questo paese, soprattutto in questo periodo – conclude l’attore –. Quella del tampone mi sembra la solita ipotesi per non fare niente, tanto chi se ne frega. Tutto questo favorisce anche la depressione”.

Una coppia al cinema
Una coppia al cinema (Foto: Felipe Bustillo su Unsplash)

Tampone per andare a cinema e teatro? “Complica solo le cose”

Gabriele Lavia è dello stesso parere di Ovadia. Per l’attore e regista “è solo un modo per complicare le cose. Il teatro è stato chiuso solo per favorire i teatri pubblici che si pagano le loro quindici mensilità all’anno e non fanno nemmeno il teatro”.

“Il teatro è sicuro per tradizione culturale e per tradizione formale – precisa Lavia – in quanto è un luogo dove il pubblico sa dove deve andare e gli attori sanno dove devono stare. E allora gli autobus, i treni e Porta Portese? È uno scandalo parlare di tamponi al teatro quando vedi fiumi di persone assembrate a via del Corso! Perché lì non fanno i tamponi? Vorrei che questo eccesso di zelo fosse su tutto, non nascondiamoci dietro a un dito perché i trucchi si capiscono”.

L’attore punta il dito contro Dario Franceschini. “Non voglio insegnare al Ministro della cultura cosa è la cultura – accusa Lavia –, i teatri sono super-sicuri. Si può mettere una persona ogni quattro posti saltando una fila, bastano due spettatori, ne basta uno, la cosa importante è vivere, non vivere da ricchi borghesi o da stra-miliardari ma vivere”.

Vittorio Sgarbi, sempre all’Adnkronos, è di parere contrario. “Le condizioni non le so – ammette il critico d’arte e senatore – ma c’è una categoria di persone di età avanzata che potrebbe andare a teatro tranquillamente. Per gli altri il tampone potrebbe essere una misura provvisoria. Fino a che non si arriva a vaccinare il 60/70 per cento delle persone con il tampone ci darebbe la garanzia di non essere pericoloso per gli altri. Per riaprire bisogna pur concedere qualcosa”.