Judy, cosa funziona (e cosa no) nel film con una Renée Zellweger da Oscar

Il biopic su Judy Garland, la star del Mago di Oz, non racconta la sua ascesa ma gli anni finali e più bui, il suo viale del tramonto

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Il biopic è un genere pericoloso. C’è il film biografico che racconta gli esordi difficili, l’ascesa meritata, il declino inevitabile. Poi c’è quello che ricorda il viale del tramonto, cos’è stato e com’era il successo. Judy di Rupert Goold, nelle nostre sale dal 30 gennaio, opta per quest’ultima strada. La più difficile da battere. La fama finisce anche per una leggenda come Judy Garland, la star di Hollywood diventata icona con capolavori come Il mago di Oz, Vincitori e vinti ed È nata una stella.

Judy: film da vedere oppure no?

Il film di Goold, che porta al cinema il musical End of the Rainbow di Peter Quilter, si concentra su ciò che accadde nella vita dell’attrice sei mesi prima della sua morte, causata da un’overdose di barbiturici.

È il Natale del 1968, la Garland ha 46 anni e prepara una serie di concerti a Londra. Non vuole tornare alla ribalta: deve semplicemente sbarcare il lunario. Le servono i soldi per comprare una casa e pagare gli avvocati che le potranno permettere di ottenere la custodia dei due figli (l’altra, Liza Minnelli, ha criticato il film su Facebook).

Lewin Lloyd, Bella Ramsey e Renée Zellweger in una scena del film Judy
Lewin Lloyd, Bella Ramsey e Renée Zellweger in Judy (foto: Notorius Pictures)

Il tour musicale al Talk of the Town si alterna ai flashback del passato, quando era “di proprietà” della Metro Goldwyn Meyer. All’epoca non poteva concedersi nemmeno un hamburger con l’amato Mickey Rooney, la tenevano a dieta con le anfetamine e lavorava 14 ore al giorno sui set. Da allora restano soltanto i matrimoni falliti, i tentativi di suicidio, la mancanza di sonno e le dipendenze da alcol e farmaci.

Goold, mentre analizza la bambina-prodigio a cui hanno negato l’infanzia, racconta (anche) le miserie del quotidiano lontano dal luccichio di Hollywood, la solitudine della vita in scena, quel bisogno inarrestabile di apparire per donare qualche ora di gioia ad un pubblico che non l’ha mai dimenticata.

Renée Zellweger in una scena del film Judy
Renée Zellweger in Judy (foto: Notorius Pictures)

Judy, Renee Zellweger da Oscar

Il lavoro di ricostruzione del film e della protagonista Renée Zellweger è certosino. La sua interpretazione è da brividi. L’attrice, con quell’espressione dolce e tenerissima, non diventa Judy: è Judy. Oltre alla somiglianza fisica e alle canzoni (ha registrato i brani negli studi di Abbey Road), è impressionante il lavoro fatto sul linguaggio del corpo, da come tiene il microfono al modo in cui trattiene le lacrime.

Cosa c’è che non va allora? Il regista e lo sceneggiatore Tom Edge puntano a far emergere una storia umana tragica e commovente. Ci riescono soltanto in parte perché se le intenzioni sono crepuscolari e malinconiche, i toni sono spesso fiacchi e polverosi, in alcuni momenti – l’incontro con la coppia di fan gay, la relazione burrascosa con il nuovo giovane amante Mickey, il finale con Over the Rainbow – persino posticci e strappalacrime.

A salvare la baracca è la Zellweger: l’Oscar 2020 per la migliore attrice protagonista è già assegnato. Sono la sua performance e i costumi meravigliosi a valere davvero il prezzo del biglietto.

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