La morte di Toto Cutugno ha spinto Pupo, suo collega e grande amico, a fare una riflessione che spesso viene spontanea, dopo la scomparsa di un artista, ovvero: perché aspettare la sua dipartita per rendergli omaggio e valorizzarlo?
La reazione di Pupo davanti alle parole dei critici dopo la morte di Toto Cutugno, suo grande amico
«È da ieri che leggo articoli su articoli dedicati a Toto Cutugno, nei quali il mio amico viene – giustamente, dico io – celebrato come un gigante della canzone italiana nel mondo. Ma perché voi critici non avete scritto queste cose quando Toto era ancora in vita? Perché lo ricordate solo ora che non c’è più? – si sfoga infatti il cantante di ‘Gelato al cioccolato’ nell’intervista de Il Messaggero.
I due si conoscevamo dal 1980 “quando il grande Gianni Ravera – racconta – decise di rilanciare il Festival di Sanremo dopo anni di crisi e ci chiede di dargli una mano e di partecipare alla kermesse. Sia io che Toto venivamo da grandi successi. Io avevo già pubblicato Come sei bella, Ciao e Forse, lui aveva scalato le classifiche con Donna donna mia, sigla di Scommettiamo? di Mike Bongiorno, e scritto Soli per Adriano Celentano. Ci presentammo all’Ariston. Vinse Toto, con Solo noi. Io arrivai terzo con Su di noi. Da allora non ci siamo mai persi di vista, fino allo scorso anno».
Ed ecco una testimonianza molto sofferta da parte di un collega e amico che, come tutto il pubblico nazionale, sta facendo i conti con la morte di Toto Cutugno, e che non lo vedeva da un anno: «Toto, che stava male da un po’, ha cominciato ad evitare di prendere aerei e di fare show in giro per il mondo. Era stanco. Io da ieri sono distrutto. Negli ultimi quarant’anni abbiamo condiviso di tutto. Pure le fidanzate – aggiunge – avevamo entrambi un grande fascino sulle donne. Lui era alto e moro: l’italiano vero, appunto. Io ero il “Pupo”, il bambino vero (ride)».
In attesa di prender parte ai funerali, Pupo però condivide una certa rabbia verso i media italiani, nello specifico: «quei critici che ci hanno sempre trattati come cantautori di serie b: non ci consideravano alla stregua di De Gregori e Vasco Rossi. Mi perdoni, ma cos’hanno le canzoni di De Gregori o di Vasco Rossi in più rispetto alle nostre? […] E non sa quanto soffriva Toto per le cattiverie che scrivevano nei suoi confronti. Era frustrato. Aveva quella frustrazione tipica delle persone di talento che non si sentono sufficientemente apprezzate e stimate. Io non mi sento meno colto di un Ivano Fossati o di un Francesco De Gregori. E non lo era neppure Toto. Andrebbero messi dei puntini sulle “i”».
Insomma, per il cantautore la questione è proprio di approccio da parte del jetset musicale: «La distinzione tra cantautori di serie a e cantautori di serie b è dovuta anche all’atteggiamento dell’intellighenzia radical-chic nostrana. La sinistra, che è sempre stata la detentrice della cultura in Italia, ha sempre avuto una supponenza e una spocchia incomprensibili. Un atteggiamento che infatti ha portato alla sua sconfitta».