Al Bano contro il reddito di cittadinanza: “Così non trovo lavoratori per la mia azienda”

Il cantante imprenditore è l'ennesimo vip che critica la misura di supporto voluta dal M5S: "Bisognerebbe fare come in Germania, apprendistato a 12 anni"

0
587
Un primo piano di Al Bano
Un primo piano di Al Bano

Al Bano è l’ennesimo vip che si scaglia contro il reddito di cittadinanza. Oltre che celebre popstar, Carrisi è anche imprenditore. In Salento, nelle campagne della sua Cellino San Marco, ha infatti aperto le Tenute, un albergo diffuso con ristorante, spa e terreni da coltivare. È qui che passa la maggior parte del suo tempo e sta persino ospitando una famiglia di profughi ucraini.

Al Bano contro il reddito di cittadinanza: le sue parole

In un’intervista concessa al settimanale Nuovo, Al Bano si lamenta della mancanza di manodopera. Tutta “colpa” del reddito di cittadinanza, una misura – va ricordato – tra i 210 e i 500 euro al mese. È da quando c’è questo supporto – e non per l’assenza di contratti decenti e per gli stipendi da fame – che (secondo Carrisi) gli italiani non hanno più voglia di lavorare.

“La mancanza di manodopera – racconta il cantante – è una realtà drammatica con cui mi scontro ogni giorno con la mia azienda agricola. La colpa? Il reddito di cittadinanza, innanzitutto”. Al Bano ignora – o sembra ignorare – quanto conferma Milano Finanza: in Italia i salari sono in calo da trent’anni. Il nostro è l’unico caso in Europa in cui le retribuzioni annuali medie sono scese dal 1990 al 2020. Meglio di noi ha fatto pure la Grecia. Senza aprire i capitoli del lavoro nero e di quello gratuito.

La “soluzione” di Al Bano non è legata al problema della mancata crescita, ma alla presenza del reddito di cittadinanza. “Bisognerebbe fare come in Germania – spiega il cantante imprenditore –, dove già a 12 anni i ragazzi dopo la scuola fanno apprendistato nelle imprese”.

Un primo piano di Al Bano
Al Bano (foto: Mediaset Infinity)

Al Bano Carrisi e i vip che “orientano” il pubblico sul lavoro

Carrisi non è il primo personaggio famoso imbeccato dall’alto che non parla di precariato e morti sul lavoro e frigna per l’assenza di personale, alla quale magari offrire una retribuzione non proprio “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”, come recita l’articolo 36 della Costituzione. In una recente intervista al Corriere della Sera, lo chef Alessandro Borghese ha rivelato che “oggi nessuno vuole più lavorare in un ristorante”.

“Mentre la mia generazione è cresciuta lavorando a ritmi pazzeschi – ha detto il cuoco conduttore –, oggi è cambiata la mentalità: chi si affaccia a questa professione vuole garanzie. Stipendi più alti, turni regolamentati, percorsi di crescita. In cambio del sacrificio di tempo, i giovani chiedono certezze e gratificazioni. In effetti prima questo mestiere era sottopagato: oggi i ragazzi non lo accettano”. L’unico a dargli ragione, tra cori di critiche unanimi, è stato Flavio Briatore. Non certo un caso. Per fortuna che almeno c’è qualche voce fuori dal coro, come quella di Lino Banfi e sua figlia Rosanna.