Se cercate il prossimo film per cui tornare a vivere l’esperienza completa del cinema, beh, cominciate a segnare in agenda Nostalgia di Mario Martone. Il nuovo titolo del celebre regista di Noi Credevamo ha fatto emozionare il pubblico del Festival di Cannes suscitando applausi scrocianti e standing ovation. Il regista, così come gli strepitosi protagonisti, sembrano portarsi addosso questa carica emotiva anche durante la promozione del film. “Ho vissuto Nostalgia come un’esperienza viscerale – racconta infatti Pierfrancesco Favino a Ciak.
Ambientazione partenopea e stile alla ‘Polanski’: di cosa parla Nostalgia di Mario Martone
Dopo quarant’anni di lontananza, racconta Nostalgia di Mario Martone, Felice (Favino) torna lì dov’è nato, nel rione Sanità, nel ventre di Napoli. Riscopre i luoghi, i codici del quartiere e un passato che lo divora. Ecco quindi che la città, il quartiere pulsante e antico del capoluogo campano diventa parte di questa ‘visceralità’ di cui parla l’attore – che per questo ruolo ha dovuto imparare sia l’arabo che il napoletano: “Durante la pandemia mi sono messo a studiare l’arabo e mi sono accorto che tante cose della struttura della frase sono le stesse delle lingue del sud. In arabo non esiste il verbo avere, si dice: ‘Una cosa è a te’. E’ un po’ lo stesso di ‘soreta’. Mi sono avvicinato alla lingua napoletana con timore e rispetto, ma anche con tanti maestri, In ogni modo con Mario abbiamo lavorato anche sul modo in cui Felice sta seduto, perché la sua postura è lo specchio di un modo di pensare e di essere“.
Ad ispirare la vicenda è l’omonimo libro di Ermanno Rea: “Il nostro – spiega Martone – è stato un percorso misterioso. Non conoscevo bene la Sanità, mi ero infilato una volta nelle catacombe per un documentario, e poi mi ricordo che andavamo a ballare al KGB. La Sanità è un quartiere che è caduto in ombra quando ha finito di essere il percorso che il re faceva per andare a Capodimonte. E’ rimasto abbandonato e inevitabilmente è arrivata la Camorra. Il suo essere una terra di nessuno lo rende ai miei occhi qualcosa che somiglia al Far West, in altre parole c’è un che di mitologico fra le sue strade. C’è il sopra e c’è il sotto, che noi chiamiamo La Valle dei Morti, e necessariamente ci sono il presente e il passato che coesistono.”
E sul personaggio interpretato da Favino: “Felice è un personaggio atipico nel cinema italiano. Non è un eroe, e capire le sue motivazioni è complicato. Il suo agire è determinato dall’emotività e a volte ha degli scatti che non ti aspetti. Per me come regista è rimasto un uomo con qualcosa di inesplorato, e lo stesso è accaduto a Pierfrancesco, che ha capito che Napoli può essere tante cose, perfino un luogo dove un attore di talento può diventare napoletano“.
L’invito di Favino al cinema
In ultimo, un appello proprio da parte dell’immenso protagonista di questo titolo così promettente a tutti gli amanti del grande schermo: “Se tu non senti il desiderio di andare al cinema, non puoi cambiare il tuo percorso di vita. Si va a vedere un film o a un concerto per maturare, al limite per confermarsi. Non si può maturare dal divano di casa, che è un luogo acquistato. Felice è un uomo ricco che vive con una moglie che ama, eppure sceglie di stare in un luogo povero, difficile, sporco, e così cresce, cambia. I tempi che stiamo vivendo ci impediscono di fare questa esperienza meravigliosa, perché è solo al cinema che io mi abbandono e penso che la visione di un altro possa essere anche la mia“
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