Un film per i bambini dagli 8 agli 80 anni: così Roberto Benigni presenta Pinocchio, il nuovo adattamento del classico di Collodi diretto da Matteo Garrone. Il sogno del regista romano, inseguito da anni, si realizza grazie ad una preziosa co-produzione italo-francese, che nulla ha da invidiare ai blockbuster europei e d’oltreoceano. Il regista abbandona la violenza di Gomorra e il degrado di Dogman e torna alle atmosfere magiche, a tratti cupe e “mostruose” già esplorate nel fantasy Il Racconto dei Racconti. Restando però fedele alla storia del burattino di legno. La diversità rispetto al passato è semmai nella dimensione distributiva (01 Distribution porta il film in 600 sale dal 19 dicembre, numero che arriva a 700 il giorno di Natale) e dalla voglia di fare un film popolare e per tutta la famiglia.
Più o meno emozionante, dall’inizio alla fine, per due ore di visione, Pinocchio arriva al cinema con l’attesa riservata ai film evento. Del resto, oltre alla regia di Garrone, ci sono Roberto Benigni nelle vesti logore di Geppetto, Gigi Proietti nei panni di Mangiafuoco, Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini (anche sceneggiatore con Garrone) versione gatto e volpe, e tanti bravissimi attori toscani (come Maurizio Lombardi e Paolo Graziosi) e napoletani, da Massimiliano e Gianfranco Gallo al piccoletto Davide Marotta e Nino Scardina nei panni di uno strepitoso (e davvero spaventoso) Omino di burro.
Senza dimenticare tutto ciò che davvero affascina di questo film: i trucchi e la prostetica del due volte premio Oscar Mark Coullier, il design dei personaggi di Pietro Scola Di Mambro, i meravigliosi sfondi toscani e pugliesi e gli effetti visivi strabilianti di One of Us e Chromatica con la supervisione VFX di Massimo Cipollina.
Per di più la storia del burattino ha sempre avuto in sé tutti gli elementi per essere una vicenda da film, oltre che saggio sulla relazione tra uomo e macchina, come suggerisce la sua lettura esoterica: avventura, emozione, spettacolo. Garrone, strizzando l’occhio allo spettatore, congiunge con successo fantastico e melò, facendo del suo Pinocchio un film sulla miseria e la grazia che ha il sapore del cinema di altri tempi. Non senza difetti.
Un film che si apre come un libro. Già nella scelta del cast, nei costumi, nel trucco e nelle acconciature, è impressionante la meraviglia che ci troviamo di fronte. Garrone si ispira ad Enrico Mazzanti (il primo illustratore di Pinocchio), alla pittura dei macchiaioli e al Pinocchio di Comencini. Nel farlo, aggiunge un altro capitolo al suo cinema “di mostri”, centrato sull’incontro-scontro con gli animali.
Pinocchio, cosa funziona nel film di Garrone
In questo incrocio temerario, il regista dà uguale spazio alla storia d’amore tra padre e figlio e al caos generato da un bambino che insegue i piaceri e le tentazioni. I momenti migliori sono proprio quelli in cui Garrone si libera dal peso della “morale” e dei sensi di colpa collodiani e dà libero sfogo alla fantasia: la bestialità del gatto e la volpe (“Spizzichiamo”, ripete il vorace Ceccherini che vuole rubare i zecchini al pupazzo), il processo con il giudice scimmiesco (Teco Celio), la visita dei medici piumati, l’incontro con la fata turchina (prima bambina e poi bellissima adulta, l’attrice francese Marine Vacth) e la grossa lumachina (Maria Pia Timo). Garrone fa suo il mondo già confezionato dal romanzo tradotto in 260 lingue: anziché subire la potenza del testo originale, lo abbraccia con gioia, tornando ad atmosfere dark e ad alcune visioni da brivido. Cos’è che non funziona allora?
Pinocchio, cosa non funziona nel film di Garrone
Pinocchio è vittima di una certa inconsistenza narrativa: visivamente sontuoso, manca di trance, suspense, ritmo. Servendo un intreccio canonico del genere fantastico molto più che del fiabesco, Garrone fa ricorso all’armamentario fantasmagorico del suo cinema ma scivola funzionale nelle due ore di lucido intrattenimento, affabulando senza infiammare. Mancando di compattezza. Specie quando il piccolo Federico Ielapi è da solo in scena, senza Geppetto, Mangiafuoco, il Gatto e la Volpe. Tuttavia se il suo vero obiettivo era raccontare la crudeltà del mondo adulto visto dagli occhi di un bambino con un prodotto confezionato per il grande pubblico (quello che “va al cinema solo a Natale”), allora l’operazione è decisamente riuscita.
Pinocchio resta un film importante e Garrone un grande regista, l’unico capace di avventurarsi in un terreno così sontuoso (e insidioso) per il cinema italiano. La “sfida” di Natale con Ficarra e Picone si annuncia appassionante.
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